IL RISCHIO DISNEYLAND

Italia, come si può evitare il declino
di FRANCESCO GIAVAZZI


Quando leggo di «declino dell’Italia» penso agli studenti che arrivano nella mia università dal Mezzogiorno, non dalle città, ma dai paesi della Piana del Sarno o dai borghi marinari della Calabria. Sono ragazzi molto intelligenti: l’università può solo cercare di non recare loro danno. Penso alle grandi banche d’affari di Londra: in sala cambi e nel comitato direttivo si parla inglese, ma uno su tre è italiano. Quando Vittorio Grilli, il ragioniere generale dello Stato e ideatore dell’Istituto italiano di tecnologia, si recò a Boston per illustrare il suo progetto ai ricercatori di Harvard e del Mit, ad ascoltarlo si presentarono in cento: chimici, biologi, medici, astronomi, ingegneri, tutti italiani. Penso al nuovo Museo d’arte moderna di New York: la sezione dedicata al design è una rassegna di nostri architetti; ristorante e toilette sono citazioni continue dei nostri prodotti. Come fa un Paese così ad essere sulla via del declino?
Allora osservo i lavoratori pendolari che lunedì mattina, esasperati, occupavano i binari nella stazione di Vignate, vittime di un Paese che ha accumulato il debito pubblico più grande d’Europa, ma non ha trovato i soldi per raddoppiare la linea ferroviaria Torino-Venezia. Osservo Eurostar con 90 minuti di ritardo e vagoni di seconda classe incrostati di sporcizia. Penso ai professori che arrivano tardi a lezione, rinviano gli appelli d’esame e non rispondono alle email dei loro studenti. Tribunali civili che chiudono il 15 luglio e riaprono a metà settembre e intanto le cause si accumulano: negli Stati Uniti chiudono il lunedì di Labor Day. Osservo banchieri che considerano Roma il centro del mondo perché lì c’è un’istituzione che li protegge. Mai che pensino di assumere un italiano che abbia avuto successo a Citibank, al Crédit Suisse o a Goldman Sachs, e se lo fanno subito si pentono e lo rispediscono a Londra.
Due secoli fa Ricardo scriveva che le nazioni devono cominciare col chiedersi quale sia il loro vantaggio comparato. Le nostre straordinarie risorse sono storia, natura, capitale umano. Se non vogliamo diventare Disneyland - scelta fatta dagli amministratori pubblici di Venezia - dobbiamo smetterla di cementificare le coste, imparare a valorizzare le risorse naturali e puntare sulle intelligenze.
Purtroppo i neuroni del cervello umano iniziano a morire poco oltre i vent’anni. L’età media dei nostri professori universitari è 57, quella dei ricercatori 47. Fra poco più di un anno andremo a votare: è probabile che la scelta sarà tra due candidati entrambi, con tre anni di differenza, prossimi ai 70 anni. Bill Clinton fu eletto presidente degli Stati Uniti a 46; Tony Blair premier inglese a 44; Nicolas Sarkozy, l’aspirante presidente francese, ne ha 50; John Reed, il banchiere che ricostruì Citibank negli anni Ottanta, si ritirò a 60 anni.
Ciò che consente agli anziani di tenere a bada i giovani è la scarsa concorrenza. Il maggior beneficio di una fine dell’autarchia del credito sarebbe il rientro di molti giovani banchieri italiani che oggi lavorano a Londra. Eliminiamo il valore legale delle lauree e le famiglie cominceranno a chiedersi se il professore dell’università locale è veramente bravo.
Siamo il Paese con uno dei tassi di fertilità più bassi d’Europa. L’unica speranza per evitare la sclerosi è aprire le porte come hanno fatto Spagna e Stati Uniti. La legge 27/12/04 consentirà nel 2005 l’ingresso in Lombardia di 120 (sic!) indiani: è noto che alcuni dei migliori matematici e informatici al mondo lavorano in India.
giavazzi_f@yahoo.com

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