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Visualizzazione dei post da maggio, 2006

PA e FFAA: le lezioni da apprendere

Nei mesi scorsi, nell’arco di pochi giorni, in Iraq e in Afghanistan, un nuovo tributo di sangue è stato imposto alle Forze Armate. La partecipazione popolare ai funerali delle vittime è stata ancora una volta, come fu per la prima strage di Nassirya, vasta e commossa. Non mi importa qui discutere del merito o dell’opportunità della partecipazione italiana alle due missioni. Ma osservare il modo in cui, in pochi anni, è cambiata – in positivo - la percezione popolare delle forze armate. E chiedermi se ci sono lezioni da imparare. Insomma: come Dirigenti dello Stato e Pubblica Amministrazione, abbiamo qualcosa da imparare dalle Forze Armate? Ancora pochi anni fa, le Forze Armate erano un’istituzione assai impopolare. Il Paese viveva malvolentieri il tributo obbligatorio di un anno di servizio militare, la sconfitta bellica aveva lasciato dubbi (niente affatto infondati) sulle capacità delle nostre gerarchie militari, la sinistra nutriva sospetti sulla vocazione democratica delle stellet

Oportet ut scandala veniant

Non riesco a condividere, perdonatemi, il dolore per quanto accade al calcio italiano. Il mio estraniamento da codesto sport cominciò alle elementari, quando giocavo da terzino e mi distraevo per uscire dal campo a cogliere margherite da portare alla mamma. Per tutti gli anni della scuola, ogni lunedì mi sono sentito un pària, perché non avevo niente da dire su quanto successo la domenica prima, e nemmeno mi interessava. Ho messo piede in uno stadio appena una volta, e mi sono annoiato a morte: almeno in tv i giocatori li vedi da vicino. Seguo invece, con interesse e partecipazione, la crescita dell’Italia nel rugby, gioco simpaticamente ruvido, ben lontano dalle commedie dei nostri calciatori. Bisognerebbe vedere il calcio per quello che è davvero: non uno sport, ma un sistema di potere, dove girano troppi soldi, il supporto e veicolo di ambizioni – anche politiche - smisurate. Se c’è un momento in cui ho trovato francamente ridicolo Bertinotti, è quando ha accettato un orologio del M

Odio gli indifferenti

Indifferenti di Antonio Gramsci Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani (1)”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bru