Culle vuote, paese triste

Il crollo demografico italiano ha conquistato la prima pagina dell’International Herald Tribune. Siamo al tempo stesso, la cosa è risaputa, uno dei paesi dove si vive di più e dove si nasce di meno.
Come Anchise sulle spalle di Enea, un numero crescente di anziani pesa su un numero sempre minore di giovani. Quelli che Svevo chiamava gli “abietti longevi che appariscono quale un peso per la società” hanno ipotecato il futuro del nostro paese, si oppongono a qualunque riforma della previdenza e pretendono di vivere di rendita una parte sempre più lunga della loro esistenza.

Quali le soluzioni del problema? I demografi elaborano studi ed ipotesi. Beh, tanto per cominciare, potremmo liberarci proprio dei demografi. Le loro previsioni si sono rivelate clamorosamente sbagliate e nocive: quando, trent’anni fa, l’Italia era in pieno baby-boom, essi lanciarono l’allarme – sovrappopolazione. Si diffusero allora parole d’ordine come “crescita zero”, fu approvata una legge estremamente liberale sull’aborto, si impose un modello culturale sostanzialmente denigratorio nei confronti della donna impegnata nella famiglia, la “mamma italiana” declassata a simbolo dell’arretratezza culturale del nostro paese.
Risultato? Il boom è rapidamente diventato “sboom”, la tenuta del sistema previdenziale è affidata agli immigrati, i cortili, le scuole, i campi giochi sono tristemente vuoti.

Lasciamo perdere i demografi, anzi, possibilmente aboliamo questa perniciosa disciplina, e affidiamoci piuttosto a qualche analisi sul campo, assolutamente a-scientifica. Bene, dei miei amici, gli unici due ad essersi finora riprodotti, sono sposati con ragazze lettoni. Si tratta di donne che provengono da una cultura che non vede nella maternità un ripiego rispetto alla realizzazione sul lavoro, e che è fortemente orientata alla famiglia. Il confronto con la nostra cultura è significativamente stridente: quando Julja, a 22 anni è andata a partorire in un ospedale romano, le altre puerpere, tutte sui 35 – 40 anni la commiseravano: “Poverina, così giovane!”. Lei lo racconta ancora ridendo. In quel “poverina” c’è tutta la distorsione mentale alla base del problema demografico italiano. La natura ha stabilito che il periodo migliore per figliare è dai 14 ai 25 anni. Il nostro modello sociale ha spostato il primo, e spesso unico, parto oltre i 30, e talvolta, oltre i 40. Addirittura, si sperimentano tecniche per rendere la maternità accessibile anche alle sessantenni: dalle puerpere tardive alla puerpere tardone…

E se invece ammettessimo semplicemente che la natura ha ragione e noi torto? Che il modello sociale e culturale che è stato imposto al nostro paese sulla base di previsioni demografiche sciaguratamente errate, è sostanzialmente contro natura?
Sarebbe ora. Questo paese di culle vuote, di donne sterili e di vecchietti senza nipoti è tremendamente triste.


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