La vendetta di Matusalemme

Ho aderito, anni fa, al sindacato Dirigenti Cida-Unadis perché la politica del compianto Giuseppe Negro era quella di inserire quanti più giovani possibili e preparare quindi con calma e gradualità il passaggio di testimone generazionale.

Venivamo da un infernale percorso di guerra, una selezione quale mai si era vista prima nella storia della Pubblica Amministrazione, e l’accoglienza verso i giovani dirigenti della vecchia gerontocrazia burocratica – timorosa del confronto con gente più sveglia e assai più preparata - era stata, per usare un eufemismo, ‘freddina’. Il nuovo governo Berlusconi inoltre, con tipici di schematismi ideologici, ci aveva sbrigativamente classificato ‘figli di Bassanini’ e quindi dell’odiata sinistra, e aveva messo in forse persino la nostra assunzione. Il sindacato fu una vera ancora di salvezza e un luogo accogliente.

Fu qualcosa di anomalo in un certo senso: la crisi del sindacalismo italiano nasce dal fatto che esso è diventato rappresentativo solo dei più garantiti, pensionati in testa, e dei privilegi acquisiti da chi un lavoro già lo ha.
Laddove il problema italiano è offrire delle chances a chi non le ha, giovani in primo luogo. La maggior parte dei sindacati difende i diritti acquisiti piuttosto che battersi per offrire a tutti delle opportunità.

Aderisco a questo sindacato perchè non amo gli automatismi di carriera, non mi piace un mondo stagnante e non competitivo, non temo di mettermi in gioco e non mi piacerebbe aderire a un sindacato che volesse premiare l’anzianità rispetto al merito.

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