Sotto il segno di Erode


La stampa italiana riporta con un certo risalto le conclusioni allarmistiche della PAA - il consesso mondiale dei demografi che si tiene ogni anno in America - sul futuro del nostro pianeta.

La razza umana continua a crescere e moltiplicarsi, e a dispetto di ogni lugubre previsione malthusiana il nostro malandato pianeta sembra generosamente in grado di sostenere tutti. Il successo della nostra specie non era affatto scontato (basti pensare all’ingrata fine dei dinosauri) e dovrebbe suscitare congratulazione e ammirazione, anziché essere studiato con sospetto, quasi fosse una pandemia.

Mentre l'Europa si è condannata a una turpe vecchiezza, questa sì una malattia, altrove la vita esplode e fiorisce giocosa, supera miseria, avversità e catastrofi. L'impeto irrefrenabile di milioni e milioni di nuovi giovani risveglia interi continenti addormentati, spezza le catene della tirannia più severa, sovverte consolidate gerarchie, produce progresso e innovazione, ricchezza e benessere.

L'idea che a questo mondo siamo "troppi" è ormai uno di quei luoghi comuni radicati ed inestirpabili perché acriticamente accettati da chi avrebbe invece per mestiere l'obbligo di mettere in discussione le idee ricevute.

Chi può stabilire davvero che siamo "troppi"? E in base a quale metro di paragone? Chi può escludere che, come la natura ha saputo da sola colmare i grandi vuoti dovuti a carestie e guerre, e pareggiare il saldo tra maschi e femmine, così non abbia in sé i meccanismi per fermare l'evoluzione delle nascite, una volta che questa sia diventata davvero insostenibile?

Lungi dall'esser 'troppi', dovremmo essere, a quest’ora, molti di più. Questo vuol dire che le previsioni dei demografi si sono rivelate sbagliate? Non proprio: decenni di allarmismi hanno attivato politiche di contenimento della fertilità che stanno dando i loro frutti, con risultati, diciamo, "discutibili", pur se indubbiamente efficaci (ma si potrebbe dire lo stesso dell'Olocausto). Una peculiarità della demografia è proprio questa: che essa modifica l’oggetto del proprio studio nel momento stesso in cui inizia a studiarlo.

Quindi, attenzione! quello che si dice in questi convegni non è senza conseguenze per la vita di milioni di esseri umani. Eppure esiste un insufficiente controllo etico e democratico dell’opinione pubblica sugli approcci e sui risultati degli studi demografici. Il motivo, probabilmente, è che si ritiene comunemente che il lavoro degli scienziati sia lontano ed autonomo dalla politica. Ma non è per niente così.

Se esiste una scienza contigua alla politica, questa è proprio la demografia. Sconcerta quindi l’assenza, nei commenti relativi alle conclusioni di questo illustre consesso, di ogni considerazione relativa alla corresponsabilità sociale, politica, e perché no, morale, dei demografi nelle scelte che le pubbliche autorità compiono a partire dalle loro analisi.

Di tale responsabilità gli stessi sembrano peraltro essere meravigliosamente noncuranti. Non c'è da stupirsene: tutti gli scienziati – e i demografi non fanno eccezione – si pretendono alieni dagli interessi mondani e reclamano una verginità morale rispetto alle concrete azioni (e alle catastrofi) che sono conseguenza dei loro studi teorici. Possono progettare bombe e andare a letto senza rimorsi, avendo lasciato ad altri la responsabilità di sganciarle.

Il binomio demografia - politica è particolarmente evidente nei paesi totalitari. In Italia, per esempio, fondatore della scuola demografica fu Corrado Gini, splendida figura di scienziato, certo, ma anche convinto fascista, razzista, antisemita, fautore dell’eugenetica, capace di influenzare con il suo prestigio la politica del regime, orientandola in senso decisamente populazionista (l’infame “il numero è potenza”).

Più di recente, le previsioni demografiche sono state alla base di politiche estremamente restrittive alla natalità nei paesi emergenti, Cina in testa. Particolare non indifferente, queste politiche hanno profondamente alterato il saldo tra maschi e femmine, principalmente con il ricorso massiccio all’aborto eugenetico e selettivo. Lasciata a sé stessa, la Natura fa sì che vi sia un sostanziale equilibrio tra nuovi nati uomini e donne. Dunque, se trenta milioni di maschi cinesi non trovano una compagna, vuol dire che altrettante donne non sono nate. Le politiche demografiche hanno alterato il corso della natura.

Ricordate? Prima di dissolversi, l’Unione Sovietica aveva attirato l’attenzione e le proteste degli ambientalisti di tutto il mondo per la folle idea di invertire il corso dei fiumi siberiani. Ma il fatto che la più grande dittatura comunista del pianeta abbia alterato il corso della fecondità umana (con effetti del tutto imprevedibili), non sembra attirare lo stesso biasimo.

Per inciso, la scomparsa di trenta o più milioni di esseri umani altrove sarebbe definita genocidio. Sennonché, le femministe che hanno provato a definire il concetto di “gender genocide” o “gynocide”, si sono ben guardate dall’includervi questo fenomeno. Significherebbe infatti mettere in discussione uno dei tabù del pensiero unico occidentale, che vuole l’aborto uno dei grandi diritti di libertà, assoluti ed indiscutibili del mondo femminile. Ebbene, ironicamente, proprio questa supposta grande conquista della donna è lo strumento grazie al quale milioni di donne non sono mai nemmeno venute al mondo...


Il controllo delle nascite su scala di massa serve a castrare l'atto sessuale, a disinnescare la sua dimensione progettuale e rivoluzionaria, ed a ridurlo a mero oggetto di consumo individuale: è il panem et circenses di noi moderni. Esso insomma serve ad espropriare gli individui del loro diritto di creare il futuro, funzione che viene avocata agli Stati, e ai demografi loro complici.

Che sia fascista o comunista, di destra o di sinistra, che si batta per l’espansione della specie o per il suo contenimento, la demografia insomma non è innocente né neutrale, ma profondamente ed intrinsecamente politica. Essa è la naturale alleata dei regimi illiberali e precostituisce alla cultura statalista argomenti pseudo scientifici che servono da alibi per ingerirsi sempre di più nella vita dei singoli.

Al grido di "siamo troppi", i demografi riducono l'infinita varietà e ricchezza del mondo, cioè ciascuno di noi singoli individui, a mera statistica.

Simili a bambini che osservano incantati un formicaio, ma che poi non sanno resistere alla tentazione di portare scompiglio nella vita e nel lavoro delle formiche, questi supposti scienziati, intenti a studiare i comportamenti riproduttivi nel chiuso asfittico delle torri d'avorio dei loro laboratori, pretendono di influenzare il futuro di tutti noi.

Sono pericolosi. Fermiamoli.


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