Dove ti porta il cuore

Un serio studio scientifico americano, che ha causato molta sensazione oltreoceano, rivela che gli uomini, assai più delle donne, mettono al centro delle loro aspirazioni l’amore, e per esso sarebbero ben disposti a sacrificare la carriera.

Personalmente, non vedo la sorpresa: già Cary Grant in “Indiscreto” di Donen (1958) reclamava che “Sono gli uomini i veri romantici!”, e potrei offrire la mia personale testimonianza, visto che anni fa, accecato d’amore, avrei volentieri rinunciato alla mia carriera per trasferirmi in Germania a fare il pizzaiolo, pur di stare vicino a una signora, che, dal canto suo, simili problemi non si poneva neppure, essendo una di quelle carrieriste arrembanti che vivono per lavorare. Andò male, e non cesso di ringraziarne tutti gli dèi del Pantheon, Inshallah!: ma non sono pentito dei miei slanci, solo di averli diretti verso una persona immeritevole.

Quali le ragioni di una scelta apparentemente controcorrente? Perché gli uomini sembrano voler giocare su un campo diverso da quello loro tradizionale? Gli è che una brillante carriera è alla portata di chiunque, ci vuole solo un culo di pietra. Il grande amore è privilegio di pochi, non solo occorre un cuor d’oro, ma occorre trovarne un altro che batta simmetrico degli stessi palpiti. Gli uomini che optano per l’amore, non lo vedono come un’alternativa al successo: hanno semplicemente ridefinito il concetto di “successo”. Come evidenzia un pamphlet controcorrente, ‘Le premier sexe’ di Eric Zemmour, l’emancipazione delle donne alla fine è consistita solo nel conquistare posizioni dalle quali gli uomini si sono ritirati. Perché no? Lasciamo volentieri alle signore lo stress, le riunioni, e i pomeriggi in ufficio: a noi – novelli Nemorino - i sogni, i palpiti del cuore, gli struggimenti, la furtiva lagrima.

Un’ultima nota su questi studi che prolificano copiosi dai centri di ricerca di qua e di là dall’oceano: a me sembrano solo uno spreco di soldi e di tempo. Una volta, missione della scienza era scoprire il nuovo. Oggi consiste nel certificare l’ovvio: quasi come se la realtà non avesse abbastanza dignità da sola, ed acquistasse nuova evidenza solo se studiata e soppesata dai ricercatori.
Personalmente, trovo un po' angoscianti questi scienziati sociali, che consumano la loro esistenza indagando - nel chiuso asettico dei loro centri di ricerca - sull’esistenza altrui: fanno interviste ad un campione di individui, e
poi fondono, con l’alchimia di un modello interpretativo, tante storie individuali e soggettive in una visione – che essi pretendono oggettiva - della ‘società’.
Chi sono questi gnomi? E davvero la loro storia e le loro vicende personali non influenzano le conclusioni cui giungono? Chi è, per esempio, la dottoressa Catherine Mosher, autrice del saggio? Sarebbe lei capace di mollare tutto per un grande amore? O non è piuttosto proprio quel tipo di donna pronta ad impegnare tutta la propria vita nel lavoro (la ricerca, nel suo caso), e che se mai si fa una famiglia e un bimbo, attende fino agli ultimi rintocchi dell’orologio biologico, e solo per certificare, di fronte al mondo e a sé stessa, di essere stata un vero essere umano, ed una vera donna?
Sarebbe interessante saperlo, e darebbe molta maggior attendibilità alla sua ricerca.


Commenti

Post popolari in questo blog

Stampa estera...

C'era una volta la Rana Pomerana

Autobomba a Kiev