Legge Merlin, miracolo ultraliberista

Il Ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ha proposto di regolamentare la prostituzione e subito è nata una di quelle tempeste in un bicchier d’acqua che caratterizzano il nostro sistema politico.
Regolamentare la prostituzione? Giammai, è stato il coro indignato, sarebbe immorale, incivile, e bla bla bla…
Come spesso avviene, in Italia, i dibattiti si fanno “a prescindere” da quello che è il dato normativo. I nostri deputati, interrogati, fanno fatica a dire pure qual è il nome dell’attuale pontefice, quindi difficile che conoscano quel testo arcano, il Codice Penale, che pure come legislatori non dovrebbero faticare a reperire.

E allora guardiamo cosa dice la legge: l’art. 531-536 del Codice Penale, come modificato dalla Legge 20 febbraio 1958, n. 75 (Legge Merlin) punisce una serie di attività collaterali alla prostituzione, ma non la prostituzione stessa. Cucù! In Italia, la prostituzione è LEGALE, comprare e vendere sesso non è reato.

Gli è che la Legge Merlin, nel chiudere i bordelli, nel 1958, operò - proprio negli anni delle nazionalizzazioni e della programmazione economica, in cui metà dell’economia italiana passava sotto il controllo dello Stato - un piccolo miracolo di liberalizzazione selvaggia, degna di un anarco-capitalista alla Nozick: la prostituzione diventava una iniziativa individuale lecita non sottoposta ad alcun controllo pubblico. Nessuna autorizzazione all’inizio dell’attività commerciale, nessun albo o registro professionale, nessun controllo igienico-sanitario, niente scontrini fiscali né partita IVA. Una persona che senza licenza volesse vendere un paio di etti di prosciutto sulla pubblica via incapperebbe in una terrificante serie di violazioni amministrative e penali. Ma vendere 50 kg di carne umana, anche infetta, è lecito, non richiede autorizzazioni amministrative di sorta, ed è soprattutto meravigliosamente esentasse.

Come ci si poteva illudere che una tale isola di non regolamentazione non avrebbe generato un notevole indotto economico? Che il controllo di un’attività lucrosa, una volta abdicato dallo Stato, non sarebbe passato alla criminalità? La Merlin, interpretando il fenomeno del meretricio secondo il ‘pattern’ marxiano dello sfruttamento capitalistico, partì dal presupposto, totalmente infondato, che, chiusi i bordelli, la prostituzione sarebbe sparita da sola.
L’approccio moralistico alla legalità, proprio tanto delle forze cattoliche quanto di quelle socialcomuniste non poteva che renderle cieche nei confronti delle implicazioni economiche delle loro scelte. Ed ancora oggi, quello stesso approccio, a dispetto dell’evidenza che la Merlin non funziona, impedisce e – sono pronto a scommetterci – impedirà anche in futuro, che il problema venga, se non risolto, quantomeno affrontato.

Di fronte a una qualunque attività umana, lo Stato ha di fronte due opzioni essenziali: proibirla o permetterla, in modo più o meno regolato. Si operi dunque una scelta: se si ritiene che il fenomeno prostituzione può essere sradicato, lo si vieti, e si apprestino le necessarie sanzioni penali. Altrimenti lo si regolamenti, in un modo o nell’altro, in modo almeno da tenerlo sotto controllo.

Invece, come in tante altre situazioni, la politica nazionale tende a evitare i problemi, anziché affrontarli: questi scendono giù per li rami, fino alle strade delle grandi città, si incancreniscono, generano una reazione dei cittadini che obbliga i Comuni ad intervenire; con scelte confuse, illegittime, di facciata.
La questione della prostituzione, rimarrà sregolata, ci scommetto, ancora per molti anni: tipico esempio dell’abdicazione dello Stato dal governo dei problemi sociali.







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