Il Vaso di Pandora


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Tra i paesi pronti a riconoscere l’indipendenza del Kosovo, ormai, a quanto sembra, ineluttabile, ci sarebbe anche l’Italia.
Nella sua azione nel campo della politica estera e di sicurezza, l’Italia ha sempre avuto un grave problema nell’identificare i suoi primari interessi nazionali. In sintesi: siamo un paese pieno di buona volontà, siamo capaci di mandare soldati in remoti angoli del pianeta (Timor Est), ci lamentiamo rumorosamente se siamo esclusi da qualche tavolo o foro importante, ma nessun osservatore, interno od internazionale, riesce bene a capire quali interessi l’Italia difenda in tutto questo affannarsi presenzialista.

Eppure nel caso del Kosovo, i nostri interessi dovrebbero essere chiari. Si tratta del nostro “cortile di casa”, un paese ad un’ora di volo dalle nostre coste. Se il termine ‘geopolitica’ ha un significato, quello che succede in Kosovo ci riguarda da vicino. Ma non si intravede ugualmente una chiara linea nella nostra politica estera. Abbiamo assistito più impassibili che impotenti allo sgretolamento della ex Yugoslavia - nella quale pure avevamo concreti interessi – favorito dall’attivismo diplomatico tedesco. Eppure, anche lo sfacelo della guerra civile aveva lasciato intatto il principio della intangibilità dei confini, cardine imprescindibile dell’ordine internazionale. Il Kosovo però è una provincia della Serbia, non una entità statale autonoma.

Se dunque passa il principio che una minoranza etnica può dichiarare la secessione unilaterale della sua provincia in cui abita, si aprirà, come ben avverte il Ministro russo Sergei Ivanov, “un vaso di Pandora”. Non solo perché l’indipendenza kosovara potrebbe rimettere in discussione l’assetto della Bosnia Erzegovina, delle Krajne, e destabilizzare la Macedonia, che pure ha una forte minoranza albanese. Ma perché se c’è un paese che ha minoranze etniche che potrebbero dichiarare unilateralmente la loro indipendenza,
se c'è un paese a rischio secessione (anche a non contare il secessionismo velleitario della Lega), quello è il nostro. Con quale faccia potremmo negare l’indipendenza all’Alto Adige, dopo averla riconosciuta ai kosovari?

L’indipendenza del Kosovo minaccia direttamente il nostro primario interesse nazionale: quello all’unità della nazione ed alla intangibilità delle nostre frontiere. Ma c’è qualcuno che in questo disgraziato paese sappia cos’è l’interesse nazionale? Altro che Vaso di Pandora, questo è l’Araba Fenice:
“che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa” (Metastasio)

Commenti

  1. Infatti, perche' negare l'indipendenza all'Alto Adige? Non ne vedo motivi

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  2. Più o meno per le stesse ragioni per le quali la Gran Bretagna non si è mai sognata di cedere l'Ulster all'Eire, pur avendo abbandonato tutte le sue colonie; o per le quali la Francia cedette l'Algeria solo a prezzo di una guerra: il territorio metropolitano di un paese è intangibile, è uno dei principi cardine delle Relazioni Internazionali.

    Il territorio è, insieme al popolo, il fondamento della sovranità nazionale. Nessuno Stato vi rinuncia pacificamente. La Cina, che pure è enorme, non ha mai abdicato alla sua sovranità su Hong Kong, Macao, Taiwan. Il Giappone non ha mai firmato il trattato di pace con la Russia, non riconoscendo l'annessione delle Kurili.

    Ed è per questo che l'indipendenza della provincia serba del Kosovo, a parte tutti gli altri motivi esposti, è un grave precedente che potrebbe aprire il Vaso di Pandora di future rivendicazioni.

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  3. Sono d'accordo. Ma si tratta di un'esigenza meramente pratica. Descritta come "primario interesse nazionale" (in neretto), sembra assumere una valenza ideale, patriottica, alla quale io ho smesso di credere dopo aver mal digerito l'indottrinamento risorgimentale subito alle scuole elementari.

    A proposito, ti invito a leggere l'articolo di claudio magris sul corrierone di ieri, davvero interessante. ciao e buon lavoro

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  4. Carissimo, le relazioni internazionali sono un terreno minato, nel quale motivi ideali e pratici si mischiano inestricabilmente.
    Cerchiamo dunque di non approcciarle in modo semplicistico. La nascita di una Nazione (qualunque, anche la più democratica) è anche frutto di un'educazione collettiva o "indottrinamento", come lo chiami tu, che serve a guadagnare allo Stato la spontanea obbedienza e la lealtà dei suoi soggetti.

    Un "interesse nazionale" è esattamente un'esigenza pratica, come la definisci tu. Anche mangiare e bere rispondono all' "esigenza meramente pratica" di farci sopravvivere. Come un grande amore risponde, ridotto all'osso ed interpretato prosaicamente, all' "esigenza meramente pratica" della riproduzione. Gli stati, esattamente come gli esseri umani, tendono a perpetuarsi e a non mettere in pericolo la propria esistenza. Quando un certo ordine viene meno, di norma ciò significa guerre e sofferenze per milioni di persone. Scenario, tra l'altro, già visto nei Balcani.

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  5. Ti dirò: io sono un nazionalista e proprio per questo ritengo che la proclamazione d'indipendenza del Kosovo non è soltanto naturale, ma è persino giusta. Ed opporvisi è un po' come condurre una battaglia contro i mulini a vento. Esaminiamo da vicino la situazione: c'è una Provincia della Serbia che i serbi hanno sottoposto ad una specie di amministrazione coloniale. E nella quale la stragrande maggioranza degli abitanti, gli albanesi kosovari, sono stati tenuti in condizioni di minorità politica. Qui il duello è tra una forma di nazionalismo, quello degli albanesi, ed un'espressione di imperialismo: quella dei serbi. Storicamente, la prima è modernità. La seconda, arretratezza.
    La diplomazia italiana riconscerà CERTAMENTE l'indipendenza del Kosovo fin dal primo momento. Perchè la lezione del precedente sloveno e croato non è stata dimenticata e l'Italia non vuol trovarsi a fare un'altra battaglia contro i mulini a vento.
    Quanto ai confini, da un punto di vista geopolitico sono entità mobili e soggette a variazioni continue. Dal 1989 sono nati, soltanto in Europa, Cechia, Slovacchia, Ucraina, Bielorussia, Lettonia, Lituania, Estonia, Macedonia, Serbia, Montenegro, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Croazia. Il Kosovo sarà solo l'ennesimo Stato che si rende indipendente.
    Di contro, alcuni Paesi sono spariti: ad esempio, la DDR.
    I confini si modificano anche fuori d'Europa. Pensa soltanto alla Palestina.
    Concordo sulle ripercussioni inevitabili e le spinte disgregatrici che potrebbero derivarne. Ma io credo che si tratterebbe solo di un'accelerazione di processi destinati comunque prima o poi a compiersi.
    Io non ho nulla in contrario a che, un giorno, la Republika Srpska di Bosnia si unisca alla madrepatria serba o che possa farlo la parte di Kosovo a Nord dell'Ibar dove i serbi sono compatti. E se i sud-tirolesi vogliono andarsene, che lo facciano: in fondo, ci sono costati in questi decenni una marea di soldi.

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  6. Che un evento sia ineluttabile, caro G., non vuol dire che non debba essere governato. I fiumi scendono a valle e non lo si può impedire, ma si può almeno arginarli per impedire che esondino. La fine della ex Jugoslavia era probabilmente inevitabile, ma certo che la diplomazia europea si mosse malissimo ed in ordine sparso, e la prima vittima, come tu sai, fu proprio la CFSP.

    Gli esempi che fai tu, tra l'altro, riguardano stati, mentre qui c'è in ballo la secessione di una provincia, per quanto abitata a maggioranza da una singola etnia. In sintesi, finora si sono rotti stati federali, per ridursi ad entità più piccole, ma preesistenti. Ora minacciano di rompersi anche unità statali. E' una novità. Dove va ad arrestarsi il fenomeno? Sai, non è mica un caso che la lotta di tutti contro tutti si chiami in gergo "balcanizzazione"...

    Comunque il tema del post era l'identificazione e l'implementazione dell'interesse nazionale italiano. E tu, che sei uno studioso riconosciuto della materia, sai meglio di me che questo è il grande punto debole della nostra politica estera: volontaristica, a 360°, ma al dunque, terribilmente ineffettiva.

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  7. Continuo ad essere d'accordo con te, ma il fatto che uno Stato abbia il dovere di preservare il proprio "superore interesse nazionale" non significa che chi subisce una sovranita' "straniera" non sia legittimato a combatterla. Non mi riferisco sol(tanto) al Kosovo, ne' tanto meno all'ALto Adige (nessuno li' si sogna di lasciare l'Italia con tutti i soldi che diamo loro); ma proprio all'Irlanda del Nord (il termine Ulster e' improprio perche' comprende anche una parte della Repubblica d'Irlanda). Ora qui le giovani generazioni si sento europee, non capiscono per quale motivo tanta gente si ammazzata per cambiare dei confini che ora nei fatti non esistono piu'. ma nel passato TUTTA L'IRLANDA e non solo il nord ha subito il gioco feroce della main land e se la Corona aveva buoni motivi politici per resistere, i sudditi irlandesi avevano un'ottima ragione [per combattere, la migliore di tutte: la sopravvivenza.

    E' vero, la geopolitica e' un campo minato, ma lo e' perche' alla fine sembra che tutti abbiano le proprie buoni ragioni

    tuo, semplicisticamente, 2P

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  8. Non mi sogno di negarlo. L'Italia del resto è nata dall'irredentismo.

    Ma il tema del post era un altro: qual è l'interesse nazionale che l'Italia persegue nel suo affannarsi in giro per il mondo? Qual è lo scopo della sua politica estera? Domanda che non ha risposta: se la pongono molti studiosi competenti senza esito.

    Io mi limito ad affermare che non è affatto nostro interesse riconoscere (che è un atto giuridico) l'indipendenza del Kosovo (che comunque è un dato di fatto innegabile ed ineluttabile).
    E ciò per la stessa ragione per cui il Kosovo non sarà riconosciuto dalla Russia o dalla Spagna. Entrambi non a caso, paesi con forti irredentismi interni.

    Perché allora noi sì? Temo che nessuno abbia una risposta, nemmeno gli artefici della nostra politica estera.
    Del resto da noi non esiste un semplice documento come il "The National Security Strategy of the United States of America" (http://www.whitehouse.gov/nsc/nss.html) .
    Come, dove, perché, con quali mezzi? Sono domande semplicissime, e curiosità legittime per un contribuente. Ma sarebbe arduo, in Italia, trovarvi risposte univoche e chiare.

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  9. Interessante il dibattito attivato su tuo blog. Tu chiedi in che cosa risieda il nostro interesse nazionale.

    Ti risponderò a mia volta. E' stato da poco pubblicato in Francia, e tradotto successivamente in italiano, un bel volume di Manlio Graziano, che insegna a Lyon ed è vicino a Lucio Caracciolo. Sostiene una tesi radicale, ma molto suggestiva e, per me, convincente. Per Graziano, le classi dirigenti del nostro Paese non sarebbero mai state capaci di elaborare una visione degli interessi nazionali che oltrepassasse il limite della somma degli interessi particolari dei gruppi dominanti. Mai contrasti tra opposte concezioni: solo operazioni trasformistiche di cooptazione di gruppi emergenti dentro quello al potere. Di qui, il carattere asfittico del dibattito italiano sugli interessi nazionali. Ciò detto, una definizione limitata si è comunque affermata in via pratica, grazie all'azione di supplenza della politica svolta con successo da diplomatici e militari. La nostra politica è quella di crescere gradualmente, affermando la nostra presenza nei centri decisionali (anche se poi senza sapere che uso farne) ed offrendo il nostro sostegno alle potenze maggiori del cui riconoscimento abbiamo bisogno. Per questo ora riconosceremo il Kosovo: ce lo chiedono i nostri maggiori alleati. Mettersi di traverso non ci procurerebbe vantaggi, salva una certa simpatia da parte dei serbi e, probabilmente, dei russi, ma solo tensioni con l'America, la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. Ce lo possiamo permettere? No. Ecco perché, obtorto collo, seguiamo la corrente. Che poi è quella di marcia della storia, che da due secoli spinge verso la creazione di Stati nazione.

    Un appunto: il Kosovo non fu eretto a Repubblica per volontà dei serbi, pur avendo tutti i numeri per essere una componente federata di egual peso rispetto alle altre che costituivano la ex Jugoslavia. E' stato sempre considerato un errore.

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  10. Non conosco quel testo, ma mi pare confermi le conclusioni cui è giunto un altro bel saggio che è uscito l'anno scorso, "Elites e classi dirigenti" di Carlo Carboni, risultato della ricerca "Generare classe dirigente" della LUISS.
    L'ho recensito nel mio blog (http://quintavalle.blogspot.com/2007/03/
    sulla-zattera-della-medusa.html),.

    Comunque mi permetto di dubitare che questa tattica di salire sul carro altrui per non restare esclusi (in gergo: "bandwagoning") porti qualche frutto. Se siamo irrilevanti (e, ahinoi, lo siamo) tanto vale mantenere una posizione di principio. Se lo è potuto permettere un paese sconfitto e bombardato dalle armi atomiche come il Giappone post-WWII, perché noi no?

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  11. Come volevasi dimostrare, la dichiarazione di indipendenza del Kosovo sta eccitando le aspettative di tutte le enclaves etniche del mondo (Nagorno Karabakh, Ossetia, Abkhazia, Cipro turca etc.), e la ferma resistenza di tutti i paesi che hanno qualcosa da temere per la loro unità nazionale, Russia, Cina, ma anche la Spagna, la Grecia, la Bulgaria, la Romania, Cipro - solo per menzionare i paesi UE. Rimane da capire perché l'Italia, essendo più o meno nella stessa posizione di questi paesi, sostenga l'indipendenza del Kosovo. Lucio Caracciolo, su Repubblica di oggi, parla (cito a memoria) "dell'inveterata abitudine della diplomazia italiana, per la quale l'importante è sedersi al tavolo dei grandi, anche se il menù lo scrivono altri". E nota, altro dettaglio importante, che con il dissolvimento della Yugoslavia la Russia ha coronato la sua secolare aspirazione di avere uno sbocco in Adriatico (vedi il Montenegro, una specie di colonia russa).

    L'Italia avrebbe con ragione potuto sostenere un'altra ipotesi, assai più favorevole ai suoi interessi nazionali: l'unione del Kosovo all'Albania, in un unico stato, magari federale. Invece spenderemo soldi per tenerci per anni questo stato fantoccio alle nostre porte, la cui unica industria, presumibilmente, sarà quella criminale...

    Ultima nota: l'Europa va in ordine sparso. Invece di stabilizzare i Balcani, abbiamo balcanizzato l'Unione Europea e la sua fragile, inconsistente, Politica Estera Comune.

    Che bel risultato...

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  12. Mi paiono cose in parte condivisibili. Solo che io guardo alla politica internazionale come ad un fenomeno essenzialmente regolato dai rapporti di forza, mentre tu hai propensione a considerare maggiormente gli aspetti collegati al diritto internazionale. I miei "apostoli" sono Hobbes, Machiavelli, Tucidide. I tuoi Grozio e Kant. Rispettabilissimi. Ma lontani. Perchè anche se si riconosce rilevanza al diritto internazionale, resta sempre che le norme le scrivono i più forti. Le grandi potenze. Noi italiani ci siamo opposti fino alla fine al riconoscimento di Slovenia e Croazia nel 1991. Che vantaggio ne abbiamo tratto? Nessuno. Germania, Santa Sede, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige hanno costretto Roma a far marcia indietro. Chi aveva ragione?
    Retrospettivamente, non vi è alcun dubbio, tedeschi, prelati, friulani ed alto atesini. La stessa cosa accade oggi. Dello strappo al diritto internazionale tra venti anni non si ricorderà più nessuno. La Grande Albania. In parte concordo: ma la diplomazia internazionale ha considerato il divieto di unione tra i due Stati albanesi proprio come un elemento decisivo per ammorbidire i serbi ed evitare un'alterazione troppo forte della balance of power nei Balcani. A lungo termine, è possibile che sia uno sbocco. Logica e geopolitica conducono in quella direzione.

    La balcanizzazione dell'Europa: non mi scandalizza. Giacchè all'Europa federale io non ho mai creduto, dato che non esiste un interesse nazionale comune europeo, mi pare logico che ognuno vada dove lo guidano i propri obiettivi.
    Piuttosto, focalizzarsi sul Kosovo mi sembra ormai inutile. E' fatta. Piuttosto, la proclamazione d'indipendenza del nuovo Stato mi pare rientrare all'interno di una prova di forza di più vasta portata tra gli Stati Uniti e la Russia. La posta in palio: i nuovi confini delle rispettive sfere d'influenza. A Bucarest potrebbe essere discussa la concessione del Membership Action Plan alla Georgia ed all'Ucraina, un passo che prelude all'accessione vera e propria. Il Cremlino s'impunterà e si farà sentire ovunque esistano orecchie sensibili.

    Ne vedremo delle belle. La Germania sarà presa nel mezzo, per via della sua dipendenza energetica da Gazprom. Ma nei guai finiremo anche noi. Specialmente se vincesse Berlusconi, che è molto più filorusso di Veltroni. L'Italia si accinge ad un "riconoscimento condizionato" dell'indipendenza kosovara. Una cosa astrusa. Che ben riflette le preoccupazioni della Farnesina. Il gioco è molto più ampio di quanto non sembri.

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  13. Eccellente il tuo post sul Kossovo. Come volevasi dimostrare, sei stato facile profeta, visto il troiaio di ieri. La vicenda dimostra l'inutilità della UE come entità politica, e la pochezza dell'Italia. Ho apprezzato una volta di più, ove mai ve ne fosse stato bisogno, Zapatero, anche se so benissimo che lui parlava a suocera perchè nuora catalana, basca o valenciana intendesse.

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  14. Parli bene, molto bene, sei colto, intelligente e anche simpatico, ma qui parli di cose che credi sapere ma non sai.

    Non ho voglia di stare qui adesso ad argomentare sul tuo blog.
    A dire il vero non volevo nemmeno rispondere, ma non ho resistito, ho trovato troppo ingiusto quello che dici e così mi ritrovo a parlare di geo politica, io, che di politica non mi sono mai occupato, per dirti che ridurre il discorso ad una mera questione di politica estera è un errore, qui la politica non c'entra niente, stiamo parlando di uomini e della loro dignità.

    Sò cosa si sente a sentirsi dire cosa fare e cosa non fare da chi sa che non hai altra scelta che ubbidire, e tu stai dicendo che non solo va bene ma che in nome del diritto internazionale è anche giusto.

    Non ti capisco, ma proprio non ti capisco.

    Thierry Riva - Ginevra

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  15. Caro Monsieur Riva, grazie dei complimenti, ma appunto, non mi ha capito.

    Il mio post riguarda la politica estera italiana: mi sono domandato quali interessi essa persegua, e se le sue azioni siano coerenti con essi.
    Non mi sono invece addentrato a parlare del Kosovo, paese che non conosco, e del quale so solo quello che sanno tutti: che non è in grado di governarsi da solo, e quindi è e sarà per molti anni un protettorato internazionale; che nel frattempo ci costerà una barca di quattrini; che la sua indipendenza sarà probabilmente il paravento per traffici illeciti. C’è già del resto, l’eloquente precedente della Moldavia. Ci voleva un secondo stato albanese in Europa? Credo proprio di no. Il che non significa che potesse essere mantenuta la sovranità serba.

    Al contrario di quanto lei crede, con la vita e la dignità degli uomini la politica c’entra, eccome. Lei del resto è di Ginevra (io vivevo al Paquis un paio di anni fa), una città piena di organismi internazionali che cercano di gestire politicamente e pacificamente il mondo. Se una crisi non viene gestita politicamente, la parola passa alle armi, ed è quello che è successo nell’ ex Yugoslavia per oltre dieci anni. Mentre invece, l’Unione Sovietica e la Cecoslovacchia si sono dissolte senza traumi, pacificamente.

    La mia preoccupazione, pertanto, è che la dichiarata indipendenza del Kosovo sia soltanto il precedente a cui pretenderanno di ispirarsi tutti gli indipendentismi del mondo, con nuove guerre civili volte a mettere la comunità internazionale davanti al fatto compiuto. Non credo affatto che subire l’oppressione sia giusto, e il diritto internazionale semmai dice il contrario, ma credo nessuno voglia nuove guerre. Non crede?

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