Dialoghi 1

Mattina. Arrivo in ufficio fresco e determinato, pronto a una lunga e produttiva giornata di lavoro. Non ho finito di sedermi alla scrivania e di accendere il computer che bussano alla mia porta. Entra una furia.
“Permette? Sono l’avvocato Papparone*”, dice un ometto di mezza età e si siede.

“Ah, piacere… prego avvocato mi dica…”

“Insomma, quel poliziotto all’ingresso. Vengo qui da quattro giorni ed ancora non si è imparato la mia faccia. Ogni volta mi chiede il tesserino”.

Dal mio orecchio destro esce un fumetto con su scritto: “Embè?

“Eh, ma io sono l’avvocato Papparone. Gliel’ho detto una volta, due volte, e quello niente, continua a pretendere che gli mostri il tesserino. E mi sembra che abbia anche un’aria strafottente. Gliel’ho detto, che sono l’avvocato Papparone”.


Dal mio orecchio sinistro esce un altro fumetto: “Sigh! Sob! Strasob!”.
Chi è l’avvocato Papparone, mi chiederete? Non lo so. Solo uno degli oltre centomila membri dell’avvocatura italiana, la più pletorica d’Europa.
Ho sei anni di esperienza come dirigente, che mi hanno allenato al trattamento cortese e professionale di ogni sorta di malati di mente, stronzi, rompicoglioni, impiegate isteriche e compagnia bella.
Il ricevimento del postulante petulante è un’arte. Non ho mai ben capito se ciò faccia parte del mio lavoro, o ne sia un sottoprodotto. Di sicuro è una gran perdita di tempo, che si mangia le ore migliori della giornata. Ma so per esperienza che quando tocca tocca, ed è inutile cercare di tagliar corto.

Sintonizzo quindi la mia faccia sull’Espressione Standard 1: “Partecipata comprensione orientata al problem solving”.

“Bene, avvocato. Tanto per cominciare il poliziotto all’ingresso non è alle mie dirette dipendenze, ma a quelle del Commissariato di *. Naturalmente, se lei ha da fare un esposto, lo può presentare a me, e sarà mia cura inoltrarlo a chi di dovere”.

Parentesi.

“Ora, se la sua
doglianza ha ad oggetto un comportamento sgarbato dell’agente, le devo dare ragione, in questo ufficio il pubblico deve essere accolto con le dovute maniere: è un preciso desiderio mio e del presidente. Su questo siamo inflessibili”.

“Ah, bene”.

Ora si tratta di lavare la testa all’asino.

“Ma… se lei lamenta solo il fatto di dover presentare il tesserino, devo farle notare che il poliziotto è qui apposta e che le nostre misure di sicurezza sono già assai blande. Non vogliamo chiuderci al territorio, ma non possiamo fare a meno di mettere un filtro”.

“Sì, ma io vengo qui da giorni, sono conosciuto, sono l’avvocato Papparone”.

“Può darsi che il poliziotto non sia molto fisionomista, può capitare. Il tesserino è stato chiesto anche a me. Le ricordo che la maggior parte delle persone che entrano in questo ufficio sono dei pregiudicati. Lei ricorderà che al Tribunale di Reggio Emilia, tre mesi fa, un albanese ha cominciato a sparare all’impazzata in aula, e il primo che ha colpito è stato il suo avvocato”.

“Eh, vero”.


L’avvocato Papparone ha un moto di resipiscenza, e sembra rendersi conto per la prima volta nella sua carriera che tutti i delinquenti che lo pagano per essere difesi non sono solo un pericolo per la società, ma potrebbero esserlo anche per lui.

“Comunque, se lo desidera, ripeto, mi può presentare un esposto, e sarà mia cura…”

“Non sarà necessario, dottore, è solo un ragazzo, farò il superiore”.

“Bene. E posso approfittare della sua presenza per chiederle se si trova soddisfatto dei nostri servizi?”


“Ah sì, decisamente, questo ufficio è un gioiello, sono tutti gentili e premurosi”.


“Ne sono contento, avvocato. Per ogni evenienza le lascio il mio biglietto da visita”.


“Ah, grazie, ecco il mio. Avvocato Papparone”.


E come potrei mai dimenticarla, egregio? :-)


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*nome di fantasia...

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