Roma Kaputt

La sconfitta di Francesco Rutelli, ben più che la vittoria di Gianni Alemanno, viene spiegata dai commentatori di estrema sinistra come la smentita dell’idea che la sinistra vince solo se insegue il centro, e la dimostrazione che essa deve invece radicalizzarsi e caratterizzarsi più marcatamente.
Per la verità, il risultato elettorale di Roma dimostra esattamente il contrario. La differenza tra Rutelli ed Alemanno l’hanno fatta quei 55.000 elettori che hanno votato per Zingaretti alla provincia, ma non per Rutelli al Comune. È la conferma di quanto gli osservatori dicono da tempo: in un sistema maggioritario vince chi riesce a intercettare l’elettorato mobile, quello non schierato e non caratterizzato ideologicamente.

Della candidatura di Rutelli, il meglio che si possa dire è che era frutto di grande pigrizia mentale. Si è ritenuto che potesse vincere ad occhi chiusi e praticamente non ha fatto campagna elettorale. E si è dato troppo per scontato che avesse lasciato un ottimo ricordo di sé. Beh, Rutelli fu il sindaco che rinunciò alla progettazione urbanistica della città in favore della formula “programmar facendo”, un ossimoro che in realtà significava improvvisazione e resa a discrezione a tutti gli interessi immobiliari di Roma. Mai ruspe e gru hanno lavorato così tanto a Roma. Fu colui che si fece cogliere praticamente di sorpresa dall’Anno Santo, cominciando a lavorarci appena quattro anni prima, ma ci mise una pezza con la sua molto pubblicizzata conversione ("non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra", Matteo, 6,3, remember?). Fu colui che dette il via al ‘risanamento’ di Capocotta, facendola diventare il postaccio che è oggi. Fu l’unico ecologista al mondo che invece di incentivare l’uso delle biciclette, spinse la gente a comprarsi il motorino. Et cetera.
Coloro che attribuiscono al potere mediatico di Berlusconi la ragione principale del suo successo, sembrano non aver mai letto il Corriere della Sera di questi ultimi anni, specie la Cronaca di Roma: agiografico, a dir poco, con la servizievole Maria Latella impegnata a dare bacchettate sulle dita a tutti i cittadini che osassero scrivere al giornale per una lamentela.
Io ho vissuto in periferia, in questi ultimi anni, ed ho visto come è abbandonata. Senza peraltro che i quartieri più belli, come il Nomentano, ne abbiano beneficiato.
Aggiungerei anche che trattare Roma come un trampolino da usare per lanciarsi poi nella politica nazionale, ovvero come un posto dove riciclarsi in attesa di tempi migliori, non è stata una grande idea, nè un segno di affetto nei confronti della città.

Detto questo, il nuovo sindaco ha esordito davvero male, parlando dal balcone del Campidoglio sotto uno striscione dei tassisti e davanti a gente che faceva il saluto romano. Essere "il sindaco di tutti" non significa essere il rappresentante di tutte le lobbies e corporazioni. E non bisognerebbe dimenticare che la destra di governo in Regione ha dato pessima prova di sé, con Storace che creò 700 nuovi dirigenti dal nulla, ope legis, per tacer del resto.

Per lo sconfitto Rutelli, come per la Finocchiaro, trombata in Sicilia, è pronto un buon posto in Parlamento. È un altro pessimo segnale che il Palazzo dà ai cittadini.

E dice loro che i politici sono come i gatti: cadono sempre in piedi.



Commenti

  1. Condivido abbastanza. Solo una nota. Mi pare che nessuno abbia sottolineato l'impresentabilità del candidato PdL alla Provincia.

    Il fatto è che la nuova destra è popolare e sfonda a sinistra perchè la sinistra politica non riesce a dare risposte ad alcune esigenze fondamentali, come quella della sicurezza, che i poveri sentono più acutamente di chi vive nei quartieri bene.
    Antoniozzi era un candidato pariolino e distaccato. Inidoneo a raccogliere il consenso delle periferie, mentre Alemanno questa capacità l'aveva.
    Concordo: molto male i festeggiamenti dei tassinari. Non promettono nulla di buono. I saluti romani, invece, sono solo una innocua ragazzata.

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  2. Sto risentendo la frase “gli elettori non ci hanno capiti”, che mi ricorda comicamente Ciriaco De Mita all’indomani della batosta del 1983. È la conferma che questa è una politica fatta da professorini con la penna rossa, che ritengono di aver a che fare con un popolo bue ed ignorante, fatto di allievi poco volenterosi. Nel mondo reale non sono gli elettori a dover capire i politici, ma i politici a dover capire gli elettori: la politica serve appunto a interpretare, codificare, e tramutare in proposta umori, attese e persino paure della gente. Non aver capito questo è secondo me la vera spiegazione della sconfitta sonora della sinistra.

    Ha scritto a questo proposito Massimo Franco sul Corriere della Sera, con una metafora assai calzante:
    “È come se di colpo il gruppo dirigente [del PD] si svegliasse da un lungo sonno. E scoprisse che la realtà, dispettosamente, non ha assecondato le loro convinzioni. Si tratta di una sorta di «sindrome di Ecce bombo» collettiva: la stessa di quei ragazzi di sinistra immortalati nel 1978 dal regista Nanni Moretti nel film omonimo. Raccontava la storia di un gruppo di amici che erano andati a dormire sulla spiaggia aspettando l’alba; e che alla fine si accorgevano che il sole era spuntato non dove credevano, ma alle loro spalle: una metafora degli abbagli culturali, prima che politici, della sinistra.”

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