Il destino dei dirigenti pubblici

Un articolo e la mia risposta:
Martedì 08 Febbraio 2011
Il Messaggero
Andrea Monorchio e Luigi Tivelli
Il Destino del Civil Servant
"UOMINI di profonda vocazione e formazione democratica, in qualunque
struttura o istituzione operino sul piano nazionale o internazionale, per
elevate che siano le loro competenze e prestazioni tecniche, conoscono il
senso del limite, sanno dove la loro responsabilità si arresta e cede il
passo alla sfera delle decisioni politiche assunte in nome della sovranità
popolare". Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel
commemorare il compianto Tommaso Padoa-Schioppa, ha delineato la figura del
civil servant, dei servitori dello Stato. Ma vale la pena di interrogarsi
sul difficile presente e sul problematico futuro di queste figure nel nostro
Paese messi a dura prova da fattori normativi, consuetudini e prassi ormai
da vari anni intervenuti nell'ordinamento del settore pubblico italiano. I
civil servant hanno dato molto alla Repubblica pur in assenza, nel nostro
Paese, di adeguate scuole di alta formazione, come ad esempio le Grandes
Ecoles in Francia, a cominciare dall'Ena.

Alla commemorazione di Padoa-Schioppa è intervenuto un capofila della
categoria, come Carlo Azeglio Ciampi, giunto a grandi ruoli istituzionali al
termine di una carriera condotta nella tecnostruttura della Banca d'Italia,
da cui proveniva anche Guido Carli e proviene pure Lamberto Dini. Ma figure
preclare di civil servant, prestati alla politica nell'ultima fase della
loro carriera, provengono anche dalle burocrazie della Camera e del Senato,
a cominciare da Antonio Maccanico e dal compianto Leopoldo Elia. Analoghe
figure vengono dai ranghi del Consiglio di Stato o della Corte dei conti, o
da amministrazioni di eccellenza, quali il corpo prefettizio e la carriera
diplomatica. Anche alcune altre amministrazioni dello Stato, come ad esempio
il ministero del Tesoro, sono state un appropriato brodo di coltura per la
formazione di autorevoli civil servant. Si tratta di figure che in un nostro
libro abbiamo definito "nati per caso", in quanto per l'appunto cresciuti in
numero limitato e in assenza di un sistema di formazione ad hoc.
La prima caratteristica del vero civil servant è il senso dell'imparzialità
dell'amministrazione, il suo essere no partizan: una caratteristica che
perdura nelle Amministrazioni della Camera e del Senato e in Banca d'Italia
e in quelle amministrazioni, come ad esempio il ministero dell'Interno e il
ministero degli Affari esteri, fortunatamente preservate dalla
privatizzazione del rapporto di lavoro, che ha invece colpito la dirigenza
delle altre amministrazioni.

Ma, accanto a tale privatizzazione, il virus che ha colpito buona parte
della dirigenza pubblica è stata l'introduzione, oltre dieci anni fa, del
"sistema delle spoglie" nella Pubblica amministrazione, sulla base del quale
sia i dirigenti di prima fascia che i dirigenti di seconda fascia sono
sostanzialmente di nomina politica. Non parliamo poi della lottizzazione
partitica dominante nelle Regioni e negli Enti locali.
Grazie a questa degenerazione, il nuovo Ministro che prende possesso del suo
Dicastero deve in primo luogo chiedersi quale Ministro, e di quale colore,
aveva nominato i dirigenti che si trova attorno, e deve cercare al più
presto l'escamotage per aggiungere dirigenti di sua fiducia a quelli che
eredita, con i ben noti effetti sull'incremento abnorme dei ranghi dei
dirigenti pubblici nell'ultimo decennio. Chi può garantire, in assenza di
rigorosi congegni normativi, la professionalità di molti dirigenti frutto
del sistema delle spoglie? E ancor più, chi può garantirne l'imparzialità,
pur sancita per i pubblici impiegati dal combinato disposto degli articoli
97 e 98 della Costituzione, secondo il quale "i pubblici impiegati sono al
servizio esclusivo della Nazione"?

Si tratta di un virus ormai ampiamente diffuso nelle amministrazioni
centrali e locali, grazie al quale quella caratteristica di "lealtà"
richiesta al servitore dello Stato è stata sostituita dalla "fedeltà" (al
Ministro o al Sottosegretario di turno). Si tratta di un tema su cui ben
pochi si interrogano, ma che è vitale per il futuro dello Stato.




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Da: Q Dario [MG]
Inviato: martedì 8 febbraio 2011 12.49
A: 'redazioneweb@ilmessaggero.it'
Oggetto: il destino dei dirigenti pubblici
Con preghiera di pubblicazione:

Nel numero di oggi del Messaggero, Andrea Monorchio e Luigi Tivelli,
preoccupandosi della sorte del 'civil servant' italiano, insieme a
condivisibili considerazioni sullo spoils system, affermano che in Italia
non esiste una scuola "come l'ENA" e che pertanto la formazione della classe
dirigente amministrativa è un processo piuttosto casuale, affidato ad alcune
grandi e limitate tradizioni burocratiche. Vorrei ricordare agli autori che
esiste la Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione, che ha formato negli
ultimi dieci anni circa 500 giovani dirigenti dello Stato attraverso un
percorso rigorosamente selettivo. Il sistema è migliorabile, ma certo non si
parte da zero. Non sono le scuole di formazione che mancano, dunque, ma le
opportunità di carriera per chi, essendo arrivato alla dirigenza
esclusivamente per merito, si vede sopravanzare da altri, meno preparati, ma
con migliori "agganci".
Dario Q





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